ASCOLI PICENO – Alessandro Dotto, uno dei quattro piloti morti nello scontro fra due Tornado avvenuto nei cieli dei Monti della Laga il 19 agosto dello scorso anno, non doveva trovarsi su quel volo: quella mattina aveva sostituito un collega indisposto. E’ quanto emerso oggi, all’indomani delle prime notizie sugli esiti della perizia consegnata alla procura di Ascoli Piceno. E’ sulla base militare dell’Aeronautica di Ghedi (Brescia) e su chi al suo interno ha organizzato e assistito la missione aerea che punta l’indice la consulenza dei comandanti Giuliano Currado e Mario Pica, che hanno consegnato nello scorso luglio le loro conclusioni, messe ora a disposizione delle parti. L’inchiesta è dunque prossima ad una svolta, e a questo punto – secondo quanto si apprende oggi in ambienti giudiziari – esclude una responsabilità diretta da parte dei quattro piloti deceduti, i capitani Mariangela Valentini, Alessandro Dotto, Giuseppe Palminteri e Paolo Franzese. I due velivoli, dicono i periti, si sono trovati a transitare erroneamente nello stesso punto e nello stesso momento per "carenze organizzative" nella pianificazione e nell’assistenza al volo, e non per un errore dei piloti Valentini e Dotto, alla guida rispettivamente di Freccia 21 e Freccia 11.La procura ascolana in questi 13 mesi di indagini ha acquisito una copiosa documentazione riguardante le conversazioni telefoniche avvenute prima, durante e dopo la missione finita in tragedia, e tutti i tracciati dei radar militari e civili che hanno seguito il volo dei due Tornado. I periti hanno incrociato questi dati con quelli contenuti nelle due ‘scatole nere’ e di uno dei due dispositivi di registrazione video sonora (l’altro non è mai stato ritrovato). Non ci sarebbero state comunicazioni durante il volo con i piloti, che dunque non sarebbero stati a conoscenza ciascuno della posizione dell’altro aereo, volando soltanto a vista, anche perché vi sarebbero state anomalie nella strumentazione dei due velivoli. I Tornado si sono scontrati sopra le colline di Ascoli Piceno, all’altezza della frazione di Venarotta, dopo aver sorvolato (almeno uno dei due) la città.
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